Presentazione dei curatori

Nella foto: Vigo di Cadore, panoramica dalla strada verso Laggio

Sembra impossibile, eppure è un fatto: anche la luce rischia di venir coperta dall’ombra e svanire. Lì è un muretto, che la ferma e la sottrae allo sguardo, là una persiana chiusa . Non serve scenda la notte perché la luce scompaia, basta poco per bloccarla; e poi, abituandosi alla sua assenza, non ne percepiamo quasi più neppure il bisogno e ci abituiamo, almeno all’apparenza, a farne a meno.

Se questo accade nell’ordine delle realtà fisiche e naturali, succede pure negli spazi, in tutto solo umani, dello spirito e della cultura. Nel primo, si smarrisce la percezione dei valori e del fondarsi su essi del proprio essere nel tempo e, di conseguenza, del proprio agire, che dovrebbe ispirarsi ad essi; nel secondo, anche di fronte ai fatti più strepitosi e agli esempi di vita più sublimi subentra una particolare dimenticanza, forse non colpevole, ma che ha tanto l’aspetto di esserlo, con quel suo lasciar perdere cose, persone e insegnamenti che, per il loro valore intrinseco, non meriterebbero e non dovrebbero cadere nell’oblio.

Tra le figure che obbligano ad una memoria vigile, costante e seria, senza enfatizzazioni o esaltazioni di mera natura campanilistica o nostalgica, vi è quella del cardinale Adeodato Giovanni Piazza, nato a Vigo di Cadore nel 1884 e morto a Roma nel 1957, dopo una vita completamente spesa e ben spesa per la Chiesa. Egli aveva imparato a conoscerla, amarla e servirla già nell’antica pieve di Vigo, in un contesto spirituale ricco di Fede operosa, di laboriosità cristianamente ispirata e di carità ormai da secoli socialmente organizzata in strutture capaci di renderla efficiente e stabile, senza gli alti e bassi del soggettivismo emotivo e i rischi dell’improvvisazione. Dalla partecipazione alla preghiera robusta della Santa Liturgia, dall’osservazione delle costanti tradizioni di Fede domestica, da quel che di cristiano che in tutto respirava e sentiva vibrare, il piccolo futuro cardinale aveva tratto linfa abbondante di umanesimo rigoglioso e aperto a Dio, alla Chiesa, al paese e al mondo. La pianta crebbe, si rafforzò poi ulteriormente all’interno dello storico Ordine religioso dei Carmelitani e cominciò a fruttificare, divenendo a sua volta esempio e stimolo per altre esperienze umane e cristiane forti e serene, all’interno dell’Ordine, delle diocesi affidategli e della curia romana, a servizio della Chiesa tutta e – ci piace ricordarlo – degli emigranti.

Sono trascorsi da poco i sessant’anni dalla morte del Card. Piazza e, quasi ultimo fiore del suo impulso a ben operare, in segno di gratitudine e consapevolezza del dovere morale di far qualcosa per lui e per tener desta la luce su di lui, nella quale percepire quella grande ch’egli fu e ci ha lasciato, apriamo questo blog. Esso sarà un’occasione per rendere più facile l’accesso alla sua figura storica, umana ed ecclesiale, e, insieme, alla conoscenza di quel mondo di antica Pieve che abbiamo accennato e di cui sentiamo l’onore e l’onere di depositari o, almeno, testimoni della sua ricchezza spirituale cristiana. E sarà, non da ultimo, l’occasione per riflettere sulle grandi dinamiche che hanno attraversato, non concluse, la vita della Chiesa nella prima metà del Novecento, fino alla vigilia dell’evento epocale del concilio ecumenico Vaticano II.

E fa una certa impressione venire a sapere che i funerali del Card. Piazza vennero celebrati da altri cardinali di primissimo ordine, quali il Card. Tisserant e, soprattutto, il Card. Roncalli, che il 28 ottobre 1958 (quindi di lì a un anno) sarebbe diventato Papa con il nome di Giovanni XXIII, ed era stato suo successore quale patriarca di Venezia.

Sarà gradita la collaborazione di quanti vorranno offrircela, animati dagli stessi sentimenti di rispetto, di gratitudine, di amore alla Chiesa e di Fede, consapevoli che sempre, quando si parla di essa, si entra nel mistero di Dio e della sua opera di redenzione del mondo, cose tutte che vanno ben al di là di quanto appare e storicamente si può registrare e documentare, per aprirsi sull’Eterno.

Don Floriano Pellegrini

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